Io, Zelig e le verità di un comico: "Politici imbattibili nel far ridere..."

Storia del Cabaret. A cercare il concetto sul dizionario, probabilmente ci si imbatterebbe nella sua foto: Giancarlo Bozzo. La comicità a Milano é roba sua. Fosse solo per aver fondato lo Zelig in viale Monza. Anno 1986. Lui fra le voci che vanno a comporre "L’ultimo cabaret" di Eugenio Rigacci per Lo Scrittoio, in concorso a Visioni dal Mondo, il Festival Internazionale del Documentario. Domani sera l’anteprima al Litta. Un viaggio nel genere. Dalla nascita, al successo planetario. Che c’è sempre una risata nascosta dietro l’angolo. O forse no.
Giancarlo, avete appena presentato la nuova stagione. "Sì e mi viene quasi da ribattezzare il locale Comedy Club per come è cambiata la programmazione".
È lo spirito dei tempi? "Qualcosa che si è costruito un passo alla volta. C’è ancora lo spettacolo del singolo cabarettista ma ora Zelig è vissuto da molti collettivi e si sperimentano generi differenti, dal dialogo con la scienza alle serate dedicate al teatro del carcere di Bollate. Non c’è quindi un’unica direzione. Col rischio chiaramente che tutto questo diventi presto la prossima "tradizione".
Che legame vede con la società contemporanea? "Sembra quasi una reazione. Mentre a Milano ci costruiamo da soli una bara di cemento, osservo giovani, donne e progetti culturali provare a indagare territori diversi, offrendo un altro genere di risposta ai tempi. Da sempre i comici hanno questo grande talento di raccontarci il presente, grazie a quello che io chiamo sguardo obliquo: vedono quello che c’è dietro il primo strato".
Anche nel documentario sottolinea come la comicità serva a svelare la verità, lo scomodo della vita. "È così. E spesso la visione nasce dal disagio, da qualcosa che è successo di curioso o di bizzarro. Non fai ridere quando sei innamorato. Ma puoi essere molto divertente invece a condividere qualcosa di vero e di complesso. Come i giullari che svelavano i complotti o Manera che parla della Bergamasca. È la pensione di famiglia di Paolo Cevoli, che diventa un viaggio nell’Italia di qualche decennio fa".
C’è un’evoluzione? "Quella spetta agli innovatori, come Paolo Villaggio. Altrimenti la comicità ha un difetto che è la sua grande forza: non cambia mai. Che non vuol dire che non ci sia una quotidiana ricerca sul linguaggio. Pensa solo allo spettacolo di Alessandro Ciacci che lavora sull’Ulisse di Joyce, alle capacità oratorie di Federico Basso, o a come utilizza un lessico non comune Antonio Ornano. Mi riempie il cuore ogni volta che dice "tuttavia"".
In compenso è scomparsa la satira politica. "Però c’è da dire che i politici sono al momento imbattibili nel far ridere. La storia del terremoto e del ponte di Messina è inarrivabile".
I momenti più belli a Zelig? "Si mischiano con quelli più difficili. Perché nel primo decennio non avevamo una lira, come qualsiasi teatro in Italia se non ci fossero i supporti dallo Stato. Solo che in Francia lo fanno bene, qui ti arrangi. E i primi dieci anni sono stati complessi. Però ogni giorno ridevo con Aldo, Giovanni e Giacomo, Riondino, Geppi, Teresa, Albanese".
Poi è arrivata la tv. "Che ci ha salvato, abbiamo ripianato i debiti. Perché io nel 1994 ero andato da Gino e Michele a dire che non ce la facevo più e volevo accettare un lavoro da capovillaggio in Kenya". Non è vero. "Te lo giuro. Ci ero andato in vacanza con la mia futura moglie e aveva pagato lei. Questo per dirti la situazione".
Chi la fa più ridere? "Tantissimi. Ma adoro Raul Cremona e Mr. Forest, uno che ha battute incredibili, il biglietto da visita di un comico. Cosa vuoi dire a uno che all’improvviso prende e se ne va perché deve raggiungere in macchina la moglie che lo aspetta con i preliminari già fatti? Geniale".
Delusioni? "Molte, anche da persone vicine. Ma ora non contano. Il successo fa emergere quello che sei veramente, mi piace chi rimane se stesso: Luciana Littizzetto, Geppi Cucciari, Teresa Mannino".
In tv Zelig arrivò al 51% di share. "Era un po’ più facile rispetto ad oggi, non c’erano piattaforme e trecento canali. Dopo c’è stata un po’ di routine, qualche errore, abbiamo dovuto salutare Claudio Bisio che era una bomba insieme a Vanessa Incontrada. Comunque anche nelle stagioni meno riuscite, abbiamo fatto il 19%. Torneremo con un progetto un po’ diverso nella struttura ma di ben 25 puntate, a cui si aggiungono le quattro da organizzare per i trent’anni in tv".
Diego Vincenti
Il Giorno